Un angelo a quattro zampe. (Destino)

Il suo respiro affannoso, mi annebbia i pensieri, il suo piccolo petto si dilata e si stringe, il cuore batte velocissimo e mi guarda, mi guarda con quei suoi occhi neri, quegli occhi che hanno visto 15 anni di vita passati insieme. Quei 15 anni di ricordi, che nessuno cancellerà e se ne andranno con lui, trasmessi in me.

Devido di prenderlo in braccio e portarlo giu’. in quella strada che facciamo spessissimo, in quella strada dove con i miei auricolari e con lui al guinzaglio ho pensato e scritto le storie piu’ belle, perchè se non ci fosse stato, non avrei avuto voglia di uscire e non sarei quello che sono oggi.
Vederlo camminare e barcollare, mi tira le cuoia allo stomaco, mi viene quasi da vomitare, lo vedo davanti a me, che tira come se avesse 6 mesi, con il suono annaspante del suo fiato, tira l’ultimo strattone di collare e si accascia a terra soto i lampioni gialli che rendono la scena fredda ai miei occhi. E’ in preda ad una crisi, l’unica cosa che posso fare è poggiargli una mano sotto il collo e sperare si riprenda, i suoi occhi sono come un flipper, riesco ad intravedere il bianco della pupilla non lo avevo mai notato, non ce n’era mai stato bisogno.
I suoi muscoli si tirano, gli occhi dilatati e le sue labbra che si tirano su un lato come un tic, secondi che durano anni ai miei occhi, secondi che potrebbero ucciderlo. Impotente trattengo il fiato e aspetto che da quel corpo molle, qualcosa reagisca. Passata la crisi, riapre gli occhi e mi guarda. Ho sempre paura si dimentichi tutta la sua vita con me, non starei male per il fatto che se ne andasse per sempre, ma se sapessi che una crisi potrebbe portargli via anche solo un anno di memoria, mi sentirei piccolo e l’idea che possa morire senza il mio ricordo. Mi uccide.

La notte, la passiamo nel mio letto, lui di fianco a me, con il suo respiro affannoso, tra le lacrime e una mano sul suo petto sperando che un po’ di calore umano che lo ha amato, possa risolvere almeno una piccola parte dei suoi mali.Ma non sono Dio, ne un medico.
La mattina dopo, va portato dal veterinario, il tempo è scandito dai suoi occhi che mi guardano mentre lo carico in auto. Non ho dormito questa notte, ma niente e nessuno potrà fermarmi, attraverserei un campo minato con in braccio lui se me lo chiedessero, perchè è mio e fa parte di me, della mia vita.

“E’ un edema polmonare, sta rischiando di morire”, mandando giu’ la saliva con sforzo e trattenendo le lacrime per restare lucido, gli chiedo “Cosa si puo’ fare ?”, “E’ dovuto al cuore che ha ceduto, i polmoni si sono riempiti di acqua, proviamo con una puntura”.

Lo tengo stretto sul lettino verde e freddo del veterinario, mentre si agita per l’ago nella sua gamba…”Siediti qui e aspetta mezz’ora” mi dice.
Mi siedo su uno sgabello con in braccio lui, inizialmente il tutto era tranquillo, ad un certo punto nella mia mente è scattato il chaos , il naso ha iniziato a riempirsi, le lcarime tendevano ad uscire e con il braccio sinistro, mi asiugavo gli occhi, nell’attesa della sua morte.

Ma cosi non è stato, si è ripreso quel giorno, dopo averlo tenuto sotto controllo, torniamo a casa….

Circa tre settimane dopo di farmaci e cura verso di lui, sono per strada, lui tira e cerca di entrare in un cortile di cui non sa assolutamente nulla, per paura di farlo star male, e di farlo sforzare lo assecondo “Proprietà privata” leggo. “Andiamo a casa, dai, non possiamo entrare qui ciccio”, gli dico, ma è sordo ha 15 anni e non parla nemmeno la lingua. Quindi è inutile.

Mi porta davanti ad una casa, “Pero’ non farla qua, annusa ma non farla qua che ci sparano” , il suo grattare delle zampe sui sassolini del vialetto, vasi giganti con piante legate a dei paletti di legno per farle crescere dritte, muri grigi e vecchi, poi un pozzo al centro del cortile. Da buon curioso, mi avvicino al pozzo, e mi sporgo con la testa. “Waaa c’è qualcuno qua dentro” che cosa strana l’eco, penso.
Alzo la testa dal pozzo, ridendo, e vedo davanti a me, una ragazza che accarezza il mio cane, una ragazza con i capelli neri scuri, non castano, ma proprio neri, il piercing sotto il labbro e due occhi scuri, come piacciono a me. Vestita da giorno, con una tracolla al posto della classica borsa, un paio di jeans e giubbino nero.

“Che bello che sei” . Narra. Figura di merda, penso al pozzo.  “Quanto tempo ha ?”
“15 anni, è un vecchio, vedi ha anche il pizzetto bianco sotto al mento”. Mi sorride alzando lo sguardo verso di me, “E’ vero, il pizzetto bianco!”. Sorrido e intasco.
“Dai ciccio, andiamo, piacere mi chiamo Alex” “Natalie, piacere mio”. Ok, meglio che me ne vado.

I giorni successivi, lui tirava sempre verso quella corte, ma solo alle 16.18, la sera e la mattina no,  io sono uno abbastanza regole negli orari del cane.
Quel giorno di Marzo era la sesta o settima volta che la vedevo, e ci chiacchieravo, mentre stavo parlando con lei,  ricordo ancora che si parlava delle espansioni di The Sims e come potevo avercele tutte,”Sta iniziando a piovere ?” dico. “Uhm, sembra di si” ho sentito il guinzaglio tirare, il mio sguardo si è precipitato alla mia destra, si è solo seduto, non era vero, stava avendo un altro attacco.

Natalie spaventata, si avvicina al cane “Oddio” con i suoi occhi scuri e lucidi e una mano alla bocca. “Non preoccuparti” le dico “Non guardare per favore”. L’ennesima crisi, gli ennesimi secondi che durano ore, anni, io che lo guardo dritto negli occhi ma i suoi occhi che si muovono come un flipper e non mi vedono, nella mia testa penso, “rimani sveglio, riprenditi” ma questa volta, dopo essersi ripreso è piu’ grave del solito, non riesce nemmeno ad alzarsi, la lingua tocca terra e la schiuma bianca lascia immaginare il resto.

Lo sollevo di peso, con il suo corpicino quasi senza vita e corro per strada, ha iniziato a piovere, Natalie mi insegue, si leva la sua felpa verde con il cappuccio e mentre corriamo, la poggia sopra il mio cane tra le mie braccia,mi guarda piangendo, anche io sto piangendo, ma la pioggia non lo fa capire.

Entro nel cortile del veterinario, c’è gente prima di noi, me ne sbatto, Natalie mi fa strada, apre la porta dell’ambulatorio, c’è dentro un altro cane, un labrador da quel poco che ho visto, inizia a girarmi la testa e sento il freddo sui capelli della pioggia, poggio, il mio cane sul lettino e senza fiato e con il diaframma che mi tremava dico “Aiuto” a bassa voce, inginocchiandomi di fronte al lettino e stringendo il bordo di esso, con una mano sopra la sua zampa, che non puo’ ricambiare solo perchè non ha le dita, altrimenti lo avrebbe rifatto.

Da li non so cosa sia successo, vedevo appannato e le orecchie fischiavano, “Sta morendo” Sento. “Dobbiamo sopprimerlo noi, prima che anneghi nei suoi stessi polmoni”.  “NO.” Grido. Mi alzo a fatica e moribondo, il suo muso è sul bordo del letto che mi guarda…la sua lingua di fuori e l’odore del suo fiato sulla mia faccia. Respiro tutto quello che posso di lui, lo guardo è come se mi stesse chiedendo “Lasciami andare, amico mio”. Nelle lacrime che cosi non ho mai avuto, faccio solo un cenno con la testa che equivale a un si e alzo per mezzo secondo lo sguardo verso il veterinario, poi lo riabbasso subito. Dll’armadietto prende una siringa, dietro di me Natalie che piange mi stringe per le spalle, è accanto a me, singhiozza, non mi va di guardarla, voglio solo guardare spegnersi il mio migliore amico. “E’ per te, scusami, grazie” blateravo, parole inutili, che non capiva perchè era sordo, ma questa volta, i miei occhi traducevano per lui. Da lontano vedo la mano avvicinarsi con la siringa alla sua zampa, il pollice come a rallentatore che ignetta il liquido letale. Io singhiozzo sempre piu’ forte, ora non so chi tra io e il mio cane non riesce piu’ a respirare. Il suo battito si calma lentamente mentre gli tengo una mano sul muso, inizia a riprendere tranquillità e mi fissa…l’altra mano è sul suo petto, i battiti iniziano a scendere. Natalie appoggia la sua testa sulla mia spalla, piangendo e stringendomi. Il mio migliore amico se ne va, lasciando il suo sguardo fissato al mio, per l’eternità. Mi butto a terra, trascinandolo giu’ con me e abbracciandolo. E’ finita.

Oggi, io e Natalie, dopo 23 anni di matrimonio abbiamo due bambini, un maschio di 8 anni e una femminuccia di 4, ogni sera prima di metterli a dormire, ci chiedono di raccontargli la storia di come sono nati, la storia di un angelo che non aveva la forma di uomo, ma era racchiuso in un simpatico cane. Di un angelo che ha fatto incontrare me e la loro mamma, poco prima di andarsene.

Fine.

Il cappello di paglia. (Amore Extra-Urbano)

Questa mattina, il sole entra dal finestrino dell’auto, sbattendo ripetutamente sulla mia pupilla, fastidioso ma bello…mi distraggo, girando parecchie volte il viso verso l’alba.
Gli uccelli in formazione riempiono il blu del cielo piatto, accenno ad un sorriso e mi ricordo quanto è bello vivere, anche se sono in un rettangolo di alluminio e plastica, ma mi devo pur sempre spostare, dal cruscotto suona il telefono, nel casino dei sedili, decine di fogli, scontrini e penne scariche, lo tiro fuori, incastrandomi tra i cavi del navigatore.
La suoneria è una canzone dei NickelBack “Gotta Be Somebody”, inizia bassa, quindi tre chiamate su cinque le perdo.

“Pronto ?” rispondo, mentre guido, cosa da non fare.  “Ehi, ciao, ti ricordi di me ?” Una voce femminile mi stordisce, le pupille si dilatano, di fronte a me un’ambulanza viene verso di me, sulla mia corsia, l’impatto è devastante. Faccio in tempo a vedere il viso dell’autista distratto che solo alla fine si accorge di me, sento il rumore temperato di vetri e lamiere che si sfregano come carta vetrata, il corpo viene spinto da un pesante contraccolpo, sento dei corpi estranei e freddi dentro i miei polmoni, lo stomaco e le gambe, stringo i denti e tendo ogni muscolo del mio corpo, ma dopo quell’istante il vuoto.

Apro gli occhi, il cielo azzurro, degli uccelli in formazione che volano, come ad indicarmi una freccia, nah, una mia impressione, quello che cerca sempre segni in tutto, anche nei formicai.
che sensazione strana, sono steso su del terreno, circondato da erba altissima, la schiena è nuda e tocca il suolo, ma stranamente non ho prurito, mi gratto, ma non sento nulla, strano..
Mi metto in posizione seduta, faccio finta di essere stordito, portandomi una mano alla testa, ma cosi non è… l’abitudine mi dice che lo sono, ma realmente sto bene, anzi avevo anche il raffreddore ed ora il naso è apposto. Tiro un bel sospiro, e sento dei profumi, che mi ricordano l’infanzia, amori e oggetti, odori di case e persone, tutti in un colpo. Un brivido mi fa venire la pelle d’oca, questo lo sento…mi guardo un braccio in controluce, i peli sono dritti….sento le emozioni quindi, ma se mi gratto non sento ? Decido di alzarmi, oltre queste piante che mi coprono la vista, appena mi tiro su, le piante che avevo schiacciato tornano alla loro posizione, non si sono rotte, solo piegate, mi pulisco i jeans, la maglietta non so dove sia, ma appena lo penso, eccola poggiata alla mia destra. La mia maglietta preferita, quella che non trovavo da molto, la maglietta di “Scrubs”, nera, con la scritta verde, non sapevo piu’ dove fosse. Eccola !
Non me la metto, le mie manie di grandezza me lo impongono, pero’ me la lego in vita, inizio a incamminarmi in mezzo a questa erbaccia… no che erbaccia, devo essere piu’ educato, profuma di fiori, ma sono solo filamenti verdi, è tutto cosi strano..

Cerco in giro la mia auto, sarà finita da qualche parte e io saro’ sbalzato fuori, inizio a pensare all’incidente e inizio inevitabilmente, a sentire un dolore allo sterno, il respiro diventa affannoso, i jeans si coprono di sangue, mio dio penso, mi accascio a terra, punto gli occhi verso un dinosauro, un giocattolo di quando ero piccolo.
Un tirannosauro Rex, senza un braccio, perchè gleilo avevo rotto in uno scontro contro godzilla, lo prendo, il dolore dimenticato.. il respiro torna normale, prendo il mio giocattolo e all’età di 24 anni suonati, mi metto per terra, tra le piante e inizio a giocare, facendo dei versi assurdi con la bocca, sbito a fianco a me, una pista con le macchinine e montagne di lego, fantastico, mi libero per qualche ora, poi riprendo a camminare….

Da lontano, vedo un cappello di paglia, dall’alto in basso e inizio a sentire un cane, che abbaia, ma una voce docile, mi avvicino, l’erba alta sparisce, c’è una ragazza di schiena, color latte, un cappello di paglia in testa con un fiocco rosso che sventola al vento, anche se vento non ne sento, un vestito a fiori blu/rosso/giallo, seduta a gambe incrociate, si sporge con la parte superiore verso il cagnolino, un cane bianco, che mi ricorda tanto il mio, anche se il mio era marrone ed era morto qualche anno fa. Quando il cane mi vede, viene verso di me, la ragazza si gira di scatto ed io per vergogna slego la maglietta dai fianchi e la indosso, girandomi di scatto anche io, una risatina di quelle che si possono fraintendere parte da lei.

Sempre girato, mi passo una mano tra i capelli, per spettinarli, tenermi un po’ apposto e sperando di non avere troppe occhiaie per questa ragazza, il cagnolino salta sulle mie gambe, lo saluto, anche se in realtà un po’ mi infastidisce, perchè vorrei concentrarmi su di lei, “Come si chiama ? ” Le chiedo.

“Tu che nome gli daresti ?” Mi chiede. Io stupito “Non so, mi ricorda molto il mio cangnolino, Tommy, si ha il muso da Tommy!”.Sorridendo lei mi guarda e mi dice “Si chiama Tommy”. Ammutolito, non capisco come , io abbia azzeccato il nome al primo colpo, evvai 25 punti intascati.

“Che ci fai qui” Le chiedo. “Tu cosa ci fai qui ?” Mi chiede. La conversazione dovrebbe essere irritante, ma i suoi occhi mi ricordano il cielo di questa mattina, e ad ogni sguardo, mi si azzera la rabbia delle sue risposte. Per fare il simpatico, rispondo, “Ma niente, pensavo di farmi un giro e perdermi”, sperando in una sua reazione di una risata o una finta risata, capita l’inverosimile. Lei si avvicina a me, mi prende per le mani e mi punta con i suoi occhi, io distratto dal cane, punto subito il suo sguardo e lascio il cane, che smette all’istante di abbaiare, lei intensamente guardandomi, con quel suo viso dolce e luminoso, coperto solo dall’ombra di quel cappello di paglia, con un sorriso mi dice… “Perditi insieme a me”. “Ma tu chi sei ?” Le domando.

“Sono parte del disegno della tua felicità. sono una coincidenza voluta, sono il ricordo migliore che si possa pescare da un mare di sensazioni, sono la ragazza, che era su quell’ambulanza.”

“Dove siamo ?”

“Non è piu’ importante dove siamo, l’importante è cosa siamo, ed ora, vieni via con me, ed il tuo cane”

-Fine.-

L’arte del ladro.

Oggi, mi hanno posto questa domanda, “Tu cosa fai nella vita ?”, io dopo qualche secondo, dopo aver riflettuto, ho risposto : Il Ladro.

Non sono un topo d’appartamento, cosa pensate.. ne tanto meno rubo frutta ai banchetti del mercato il giovedì.

Piu’ che altro, nei minuti in cui realizzavo, cosa facevo nella vita, mi rendevo conto che vivere equivale a rubare, saccheggiare esperienze proprie e altrui, prendere e non ridare, manomettere pensieri originali, modificandoli e facendoli propri, ora semplifico il discorso.
Mi allaccio alla mia arte il regista, l’arte cinemtagorafica, e mi rendo conto, che ogni qualvolta vedo qualcosa di nuovo su un set, o qualcuno di nuovo che usa tecniche, modi, parole, che non conosco o che non vedevo sotto quell’ottica, le faccio miei, rimangono stampate nella mia memoria anche senza volerlo, la necessità di sapere, la voglia di imparare, equivale..a rubare.

Il bottino, puo’ essere piu’ o meno grosso, si parte da conoscere un vocabolo nuovo, fino ad imparare in pratica veri e propri mestieri, ma la parte piu’ bella è quando si ruba dagli “stili”, attenzione, non sto parlando di lavoro, catene di montaggio e quella roba che nessuno di voi vorrebbe fare, ma per qualche motivo vi ostinate a seguire. Parlo di creatività, lo stile di un artista, osservandolo si cerca di captare il meglio, di mettere a fuoco i punti che ci piacciono soggettivamente e tenerceli per noi, tentandoli di migliorare a livello oggettivo, o semplicemente migliorarli per i nostri occhi, quindi creandoci un proprio stile.

Perchè cio’ che davvero conta, è saper firmare con la propria penna, dal proprio taschino, con quella tonalità di inchiostro blu e quelle curve che sfrusciano su un foglio di carta ruvida, finendo sempre (o quasi) con lo stesso punto, nella stessa posizione… che sia automatico, non calcolato. Impronta digitale artistica, meno tecnica di una vera impronta, astratta come l’amore che percepiamo, ma che facciamo nostro se c’è occasione.


Prima di rubare, mi assicuro sempre che sia una bella casa, ricca, non un casa popolare, di periferia… non avrebbe senso, rubare a un povero, se si è poveri, no ?
Bisogna pazientare, attraverso i vetri delle finestre, il giorno la notte, capire i movimenti e agire.. prendere tutto quello che si puo’, tutto quello che ci sta nel nostro sacco, alle volte è bucato e gli cadono le cose superflue, ma la maggior parte delle cose entrano, eccome se entrano.. Poi ce le portiamo via, e le vendiamo, o cosi.. o le modifichiamo…

Vi è mai capitato di rubare una bicicletta ? A me si. La prima cosa che si fa, la si fa verniciare, si cambia colore, la seconda cosa che si fa, la si tiene lontana dal quartiere di origine, per evitare eventuali casini…
Ma se volete fare un lavoro pulito, la verniciate e cambiate pezzi, curatene i dettagli, anche il campanello e un catenaccio nuovo, poi saliteci, tornate al quartiere dove l’avete rubata… quando passerete davanti alle persone e al proprietario, non si accorgeranno di voi, o forse la guarderanno e penseranno “Ma mi sembra…no è troppo diversa per essere lei”. Ma il telaio è quella bicicletta rubata, il resto ce lo avete messo voi.

Dedico queste parole, ai miei colleghi, che mi sono vicini nel mio cammino, con cui condivido la mia passione, e da cui “Rubo” tutto, sempre e comunque.

-Alphetto-

L’adesivo del casello autostradale

 

“E cerco le risposte che non trovero’, le cerco perchè l’importante è il viaggio non dove andro’ ”

E con queste parole, voglio tornare a parlare di Vita. Scritta con la lettere maiuscola, quasi a sostituire un nome come quello di Dio, per molti assente, per altri onnipotente. La vita stessa, per molti importante, per tanti sprecata.

Ahhhh, quante belle cose che sto vivendo, mi sento rilassato…tra me e me, le mie persone vecchie e nuove, tra i miei scazzi e le risate tra un set e l’altro… tra il salvarsi per “un pelo di culo” da situazioni atroci, dove l’arte dell’arrangiarsi è al primo posto nel kit di sopravvivenza, sono persino andato in discoteca (cosa che odiavo e odio) giusto per provare, voglio vivere, ho proprio voglia di prendere ogni singolo secondo della mia vita, e chiuderlo dentro un barattolo, etichettandolo con un’azione, una frase, un momento.. mio e solo mio !

La vecchiaia non mi spaventa.. mi spaventa non imparare nulla durante il giorno, mi spaventa non potermi innamorare e amare, mi spaventa l’aggrovigliarsi sulle cose senza via d’uscita, sono abituato a risolvere i problemi all’istante, senza riflettere, abituato alla scorciatoia e tecnica migliore per uscirne senza danni. Un carroarmato di idee, pronto a sparare l’ennesimo colpo, che andrà a buon fine o sarà sparato nel vuoto, ma l’importante è spararlo.

Ci sono giorni in cui… No, non esistono :). Non ho giorni in cui voglio mollare tutto, non fanno piu’ parte del mio vocabolario, fino a qualche mese fa, stavo male, mi ero ammallato di una malattia chiamata “insoddisfazione, abitudine” chiamatela come vi pare, quella cosa che non riuscite a stare soli, e dovete cercare qualcuno, altrimenti la vostra vita non avrebbe senso (non sono cosi stupido ad essere arrivato a sti livelli sia chiaro).

L’altro giorno al casello di un’autostrada, ho visto un’adesivo, degli AC-DC attaccato sul tasto rosso di emergenza a fianco del biglietto. E allora, volevo dare il titolo a questo post, perchè da quell’adesivo è nato questo discorso, e se qualcuno sta pensando “non hai proprio un cazzo da fare se pensi a sta roba mentre sei al casello”, vi rispondo è vero… e voglio fare, solo quello che mi piace. Voglio essere, per citare un amico “Autotelico” :D.

Uscite da una catena di montaggio, come tanti adesivi, se avete la fortuna di essere sul cruscotto di un’auto, viaggerete per sempre, se vi fate appiccicare ad un casello autostradale….non ne uscirete piu’ vivi !

Alphetto