Lo scemo del villaggio.

In una contea non tanto distante dai pensieri, ai confini di distese innevate, giace un tale, senza nome, in una casa di marzapane….Tutti la chiamano di marzapane perchè chi ci vive è davvero grosso, dicono anche sia stupido e solo. Un vero imbranato…Dicono.

Le ragazze del paese lo prendono in giro, fuori moda e poco simmetrico, occhio ballerino e dentro al bicchiere solo latte o acqua, niente alcool.

Vive al di la della montagna, con le sue caprette, dicono puzzi molto e che casa sua sia priva di acqua corrente, sui banchi di scuola il suo nome, di anni or sono le parole rincorrevano la leggenda “Russel lo scemo del villaggio”. Lacrime amare verso’ il piccolo Russel, amicizia e amore incompresi da persone distratte, arrese alle apparenze.
Russel tornava raramente alla contea, doveva pur nutrirsi, un giorno dal panettiere, mentre comprava due pezzi di pane e qualche focaccia, una docile signora lo avvicino’…”Giovane uomo, puo’ aiutarmi a contare, del panettiere mi fido poco, era il figlio del regnante, rimasto qui per un comportamento intollerante..” . Russel stupito, si chino’ verso la bassa signora “Certo, l’aiuto io” .
Dalla porta d’ingresso dei monelli entrarono, spingendo le persone in fila “Vogliamo i dolci, abbiamo quattro monete” il panettiere con sguardo da iena, prese due dolci e glieli diede “Ecco mocciosi, divideteveli” sul bancone c’era scritto una moneta per un dolce, noto’ Russel. I monelli urtarono la signora e caddero le monete “Mio Dio figliolo, i miei risparmi a terra, volevi derubarmi” “No signora, i bambini distratti ….” “Silenzio” Affermo’ il panettiere, “Fuori di qui, stupido lazzarone”. Le persone iniziarono ad accorrere sentendo la forte voce. “Un ladro” qualcuno sussurrava, “Una serpe””Vattene scemo del villaggio” …”Mi dispiace ” con occhi lucidi verso tutti, il povero Russel si rassegno’ e mentre si faceva strada tra le persone nuove lacrime amare solcavano la terra dov’era cresciuto.

Da quel giorno, tutti dicono… “E’ lo scemo del villaggio ed anche un ladro !”

Nella sua casetta, davanti al camino, il povero Russel sentiva riecheggiare parole velenose nella sua testa, lui voleva solo fare del bene,  forse nemmeno, voleva solo del pane…
“Cosa sono” a voce bassa, occhi tra le fiamme e cuore avvelenato.
Con uno scatto giro’ verso il suo palato il fucile da caccia, campo largo… e colpo in canna.

-Fine-

E voi ? Siete davvero pronti a prendervi la responsabilità di cio’ che dite degli altri ? Siete davvero consapevoli di quanto possano tagliare le parole trasversarli, voi credete al blaterare della gente ? Voi…siete assassini ?

Non difendo chi si toglie la vita, ma comprendo come sia difficile convivere con un’etichetta cucita in faccia.

Ho ucciso un gatto a mani nude.

Le porte finestre erano chiuse, quel giardino puzzava di vita perfetta e erba appena tagliata, aveva smesso di piovere da qualche ora il manto rendeva scivolosi i miei passi io ero li per un solo motivo, volevo rivedere lei.
Tende tirate e casa chiusa..Non c’era nessuno…Eppure sapevo che non era cosi, sentivo i suoi battiti schiantarsi contro i vetri  per venire verso di me come un ticchettio da emicrania. Forse mi stavo sbagliando..

Giro il terzo angolo della casa un orticello mal tenuto e qualche oggetto scenografico per rendere il tutto meno triste si erano manifestati davanti ai miei occhi, sulla legnaia un gatto bianco con gli occhi neri, mi fissava..

Non ci faccio caso, continuo a gridare un nome e ricercare.

In un istante, lei appare dall’ultima finestra e mi saluta, scostando la tenda rosa, guarda verso il basso intimidita e poggia la sua mano al vetro cercando me… Tenendo i miei occhi fissi sui suoi, belli come l’El Dorado, mi nutrivo a distanza de suo affetto.

Un soffio dietro le mie spalle e un’unghiata nella schiena scostano la mia attenzione dalla leggenda, mi volto di violenza, il gatto mi soffiava, pelo alto, occhi dalla potenza di un buco nero come se volessero spingermi nelle sue fauci, e’ solo un gattino, penserete.
No, era il mio istinto.

Decisi di prenderlo, rischiai la cecità per via dei suoi artigli e della sua volontà. Forte, deciso, veloce e scaltro. Durante la lotta si infilo in un bidone di latta, i suoi occhi neri si confondevano con il buio, ma la sua pelliccia non sapeva nascondersi. Inizio’ a piovere, decisi che era ora di farla pagare a quel maledetto animale, la lotta era alla pari, artigli e mani, astuzia e pazienza, velocità e forza. Misi le mie mani nelle fauci dell bestia, potevo sentire le unghie che come bisturi affilati penetravano la mia pelle e i miei muscoli, colpi veloci, come un abile spadaccino mi infliggevano danni di cui non volevo conoscere la natura.

Lo presi per il collo in fondo al bidone, lo tirai fuori di forza e decisi di ucciderlo, i miei due pollici premevano nel suo esile collo, mentre si dimenava in cerca di aiuto. Lo guardavo negli occhi, la sua gola deglutiva o ci provava, il suo respiro diveniva corto e faticoso, mentre stava per morire mi misi a piangere davanti a lui, non volevo ucciderlo, non volevo davvero.
Dovetti farlo…Per stare bene io, non potevo lasciar andare l’istinto di amare senza essere ricambiato, lo uccisi e con lui persi un pezzo di me. Non mi interessava piu’ bussare a quelle finestre.
Smisi di farlo, con il sangue e la pioggia andai fuori da quella casa e da quel giardino che sembrava cosi perfetto, nella speranza di non dover uccidere un’altra parte di me.

-Fine-