Ora prendete una palla, si una palla.
Quelle da pallavolo con le scalanature, avvicinatevi con lo sguardo, immaginate che dentro queste “strade” esista la vita, ora dimenticatevi del pallone e zoomate in una storia.
Di questo personaggio non sapete nulla, nulla della sua vita, dovete ricostruire le sue emozioni secondo i prossimi avvenimenti che raccontero’, attraverso le sue righe di diario trovate nel vento, un uomo intrappolato nella cassa toracica di un demone. L’ipocrisia.
“La scuola ando’ male, mia madre mi iscrisse a ragioneria, io odiavo tutto quanto, i miei compagni odiavano me, nessuna ragazza si avvicinava a me. Forse perchè non ne ho mai avuto interesse, l’unico mio scopo era andarmene da quella classe, quella scuola, quella prigione.
Un giorno mi innamorai di una ragazza, almeno credo.. Era della 4^B io ero in quinta, all’ultimo anno di liceo.
Non sto a descriverla, perchè l’unica cosa che mi colpi fu la sua voce, la voce rispecchiava perfettamente il suo aspetto, era simpatica,bellissima. Un giorno sul pullman che andava da casa mia alla scuola, decisi di farmi coraggio e darle un bigliettino che le avevo scritto precedentemente, non avevo esperienze e quando mi passo’ in fianco alla fermata del Bus, sudavo freddo e tremavo. Un iniezione di adrenalina in corpo, glielo diedi…lei guardo’ prima la mia mano poi i miei occhi e mi sorrise, io ero serio.L’unica cosa che mi disse fu “Hai davvero dei begli occhi”, avrei voluto rispondere…ma ero fermo come un sasso sul fondo di un torrente mentre tutto mi scorreva lateralmente.
Passarono circa 3 giorni, lei venne da me, durante la ricreazione nei corridoi del liceo.
Si soffermo’ davanti a me e mi disse “Chiudi gli occhi” sorridendomi… In quell’istante la mia mente sgombero’ ogni tipo di pensiero, ogni tipo di blocco, chiusi gli occhi, volevo essere guidato in questa nuova esperienza…. Passarono circa 5 secondi e le mie orecchie udirono un “Coglione” in coro…riapri gli occhi ed ero circondato da studenti e dalla ragazza di cui ero innamorato che mi deridevano, un coro di voci si alzo’ dandomi dello sfigato, corsi verso la classe e presi le mie cose decisi di uscire e non tornai mai piu’ in quella scuola.
Fui perseguitato per anni da questa storia, decisi con poca autostima di non accettare a provare o ad avere un rapporto con una ragazza, mi sentivo troppo sensibile, un trattore era passato sulla mia corazza schiacciandomi distruggendo anni di solidità, difficoltà, i miei occhi fissarono per anni le foto dei social network, immaginandomi storie di altri che non potevano essere mie. Decisi che era tempo di cambiamenti, ma quando mi alzavo dal letto e mi lavavo la faccia, nello specchio come l’inferno si materializzavano i fantasmi delle mie paure, la pupilla si dilatava mentre le gocce di acqua scivolavano tra la mia barba non curata, acqua sempre e solo fredda come la punizione che mi era stata data in quei corridoi, il gelo e il freddo rincorrevano come pattinatori frustrati le mie emozioni e le scansavano, gelavano, non potevo farci nulla, ogni qualvolta tentassi di irrompere nel mio sguardo attraverso quello specchio, accadeva tutto questo e di colpo venivo spinto giu’ da una montagna senza paracadute, continuando a volare e scrutando dal basso i miei nemici senza un volto sentendo solo le loro risate.
La mia vita era stata elevata ad un passo che non ho chiesto, avevo solo bisogno di amare e provare le persone in gruppo, non sanno cio’ che hanno fatto, responsabilità mia, ne sono sicuro, ma siamo cio’ che siamo dalle esperienze e questa esperienza non la volevo. Voglio cancellarla.
Passarono anni, il lavoro andava bene, non parlavo con nessuno ero semplicemente un impiegato di 26 anni senza una vita sociale, occhiali grandi e vestito per lo piu’ casual, non avevo necessità di vestirmi bene, alla fine ero un fantasma. Ogni passo che facevo, sentivo che riempiva il passo del giorno prima che era rimasto impresso dal giorno ancora precedente.. che cosa anomala..
Un giorno ero seduto alla mia scrivania, ah non ve lo ho detto, ero un impiegato statale, lavoravo in posta.
Ogni giorno mi passavano decine o centinaia di persone davanti, dipendeva se erano giorni festivi o no, la mossa era semplice, schiacciare un bottone chiedere di cosa aveva bisogno, firmare delle carte e augurare una buona giornata, lo stipendio era da fame, ma io non ero nessuno, non ero sulla copertina di qualche rivista sportiva, non avevo un bel taglio di capelli e non ero nemmeno in TV, non ho fatto nulla ed era già tanto essere li.
Il 13 Agosto del 1999, c’era poca gente, penso un sei… massimo dieci persone in fila,era una giornata di pioggia, stranamente…il giorno prima ricordo che stesi i panni sul balcone e si erano asciugati nel giro di un paio d’ore nemmeno. Entro’ una persona, una donna, con un ombrello rosso e lo chiuse mentre si puliva i piedi su quello stupido tappetino con scritto “Poste Italiane”, alzò lo sguardo e sorrise, i miei occhi zoomarono sul suo volto e inizia a fare un piano sequenza della sua camminata, era bellissima, schiacciai il bottone dell’interfono prima che arrivasse volevo sentire la sua voce… Il mio sguardo si tramuto’ in un cimitero, la sua voce bellissima era la stessa della ragazza del Bus, era la ragazza…del Bus. Chinai la testa e chiesi di cosa aveva bisogno, non volevo mi riconoscesse e cosi è stato, sbrigata la sua bolletta da 72,50 € della luce, non le augurai buona giornata come di solito invece facevo, mi limitai a fare un cenno con il capo e socchiudere le labbra girandomi dall’altro lato facendo finta di dover sbrigare degli impicci.
“Puttana” pensai anche se dopo mi assalì un senso di colpa per aver pensato questa cosa, non riuscivo ad odiare.. Mi cadde un foglio e mentre stavo per raccoglierlo parti un colpo di pistola dentro la posta, il mio corpo reagi con uno spasmo violento e gli altri fogli mi volarono, mi misi sotto la scrivania.
Un uomo gridava, il suono era ovattato, sentivo poco, i vetri erano antiproiettile per quello c’era l’interfono… Ero terrorizzato,nelle vene il film della mia vita passava attraverso i battiti cardiaci che aumentavano e mi venne una crisi di panico che dovetti controllare, il sudore freddo di anni addietro per quel bigliettino si fece risentire, il gelo completo era sceso su di me, se odiavo cosi tanto la mia vita perchè avevo paura di morire ? Questa domanda soffio’ via ogni tipo di paura, quei pattinatori erano stati scagliati giu’ dal dirupo senza paracadute, ed ora li guardavo io dall’alto.
Tirai fuori un braccio dal basso della scrivania, il mio collega,gesticolava facendomi segno di non fare nulla, ma io volevo sentire.
Attivai con la mano destra l’interfono e dall’interno della sala d’attesa si sentiva una donna gridare e un mormorio.. che l’avrebbero uccisa se non rilasciavamo l’incasso della settimana.
Il tasto dell’allarme era cosi vicino, sei minuti e 48 secondi prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, la pubblicità dell’allarme diceva cosi, mi soffermai su quel tasto rosso e inizia a pensare come potevano promettere questo tempo in questo modo, cioè il traffico, i semafori “Pum” un secondo colpo di pistola mi fece tornare a terra, dio come facevo ad essere cosi distratto anche in una situazione di panico, semplice non mi importava di morire… In quegli attimi a gambe strette sotto quel tavolo come una tartaruga nel suo guscio, il direttore cercava di contrattare con i malviventi un vecchio bisbetico che doveva solo morire, di nuovo i sensi di colpa perchè non riesco a dire qualcosa di cattivo…sbuffo da sotto la scrivania, incredibile…mi ero riperso di nuovo, ancora con i miei pensieri mentre siamo circondati da malviventi ed ostaggi, ma chi sono io ?
In quegli istanti sentivo la ragazza gridare, decisi di uscire allo scoperto, alzai le mani e mi alzai in piedi il mio collega mi fissava tremolante, quando vidi i tre malviventi con in testa dei sacchetti di carta con dei fori mi venne quasi da ridere, un po’ meno quando spararono un colpo diritto davanti alla mia faccia e il proiettile si conficco’ nel vetro dinanzi a me, il mio cuore accellero’ lo ammetto, ma ero come immune alla morte, non potevano farmi del male. Decisi di uscire dalla botola dei pacchi postali, si la avete presente quella specie di porta scorrevole dove infilate gli scatoloni ci sarei sempre voluto uscire da quell’ingresso era il momento giusto per farlo.
“CHE CAZZO FAI, CHE CAZZO FAI, CHE CAZZO FA” il piu’ bassino agitato all’altro con la pistola in mano che agitava come fosse uno spumante, continuai a camminare diritto verso di loro, uno dei tre il piu’ smilzo.. alzo il braccio armato d fucile a pompa, pensai in quel momento che lo avevo visto già in qualche videogioco quel fucile, conoscevo poco di armi non mi interessava, lo feci ancora… davanti al pericolo rimurginavo su cose futili semmai fossi uscito di li, vivo.. avrei avuto bisogno di un buon aiuto medico.
“STAI FERMO FROCIO DEL CAZZO” le canne del fucile erano poggiate tra le labbra ed il naso, freddo, mi ricordava un ghiacciolo come quando lo mangi male o ti spingono per scherzare, ti picchia contro il naso e ti lascia quel senso di freddo.
“COSA NON HA CAPITO, SPARAGLI IN FACCIA A QUESTO STRONZO“
“E dopo ?” Chiesi.
“TI SPARIAMO ANCORA, ANCORA E ANCORA, DA MORTO“, il piu’ basso e schizzato dei tre.
“Fate quello che volete, io voglio uscire sono stufo di voi, di questa gente e della vita, soprattutto di quello zerbino.”
“QUALI CAZZO DI PROBLEMI HAI” il terzo arrivo’ dal mio fianco prendendomi per i capelli e tirandomi indietro la testa… la mia mano destra fece uno scatto sotto il mio dolcevita color prugna e prese un telecomando collegato con un filo alla mia vita…in ogni senso.
“PORCA PUTTANA E’ UNA BOMBA“
“Si ed è quasi il caso che potrei vendicarmi di questa ragazza, ti ricordi di me ?” Sbarro’ gli occhi e si mise a gridare come una pazza.
“Poi potrei fare un favore al mondo, liberandolo da un po’ di feccia, voi tre mi avete rovinato la piazza oggi, doveva essere IL MIO MOMENTO DI GLORIA, il MIO giorno, la MIA libertà, la MIA storia. Siete i soliti bulli… mi accontentero’ che facciate parte dell’articolo che verrà pubblicato sul Daily Sun, sempre che riescano a riconoscervi.“
Quella decina di persone impallidì, ognuno incredulo, le facce di ognuno erano di ceramica.. fredde, morte, carne putrefatta dalla paura, una signora con il grembo pieno all’angolo della posta piangeva, con un altro essere innocente nella culla, mi avvicinai a lei, con calma “Non voglio farle del male, vada“
Tenendo sempre il telecomando in mano e mettendolo in vista, gridai nella posta “Uscite tutti di qui, dipendenti, ostaggi, malviventi, andatevene uscite e tenete le persone dall’altra parte del marciapiede, non fate avvicinare nessuno“
Prima di finire questa frase i malviventi scapparono e lasciarono cadere la ragazza presa in ostaggio, tutti uscirono, alcuni ringraziandomi con le lacrime agli occhi, come mai nessuno aveva mai fatto prima io sorridevo e dicevo “di nulla“, ero felice, se l’unica maniera per non essere invisibile era quella di creare un problema, avevo sfruttato la formula causa – effetto e aveva funzionato.
“No tu no” rivolto alla ragazza… Rose. “Tu aspetta, non voglio farti del male” terrorizzata si sedette in quelle seggiole verdi e scomode per la gente in attesa, mi sedetti anche io al suo fianco…presi una boccata d’aria e inizia a guardarla. Qui partì il mio monologo.
“Rose, come stai ? Dopo mi risponderai, ma volevo farti capire che ho tenuto a te, so di essere uno scherzo della natura, di essere inutile e patetico…Sono dovuto arrivare a tanto.. per farmi notare da qualcuno, nella vita nessuno mi ha mai ringraziato di nulla, mi sentivo come una matita che non ha mai disegnato nemmeno uno scarabocchio..Una matita messa al mondo per rimanere nel portapenne, mentre al suo fianco tutte venivano scelte lei rimaneva li, la sua mina scuriva e si asciugava con il passare del tempo…Nessuno la apprezzava nemmeno dopo tanto, io mi sono sentito cosi per tutti questi anni Rose, da quel maledetto giorno in cui il freddo è sceso sopra di me, dove io ho impiccato i miei sentimenti per sempre. Tu mi hai tolto la dignità, io ti ho tolto l’amore che provavo, non c’era bisogno di fare cio’ che hai fatto avrei capito lo stesso…“
Rose era spaventata e probabilmente di quello che avevo detto aveva capito matita e freddo, con le lacrime agli occhi le sussurrai “Ero innamorato di te, avrei dato qualsiasi cosa, volevo solo amarti… In tutto questo non volevo perdere me stesso, non volevo che la mia anima fosse presa e calpestata da altri hanno giocato a calcio con il mio cuore tutti quanti non sarebbe servito se me lo avessi sussurrato come sto facendo io con te ora..Vattene…”
Prese e si alzo’ in un grido isterico corse verso la porta “L’ombrello rosso è il tuo…” le gridai… ma lei non si giro’.
Nel mentre sentivo le sirene della polizia e delle ambulanze, forse anche quella dei pompieri non ricordo bene, ero seduto nella sedia numero 14, il mio sguardo si alzo’ all’orologio centrale della Posta erano le 14, iniziai a farmi dei film mentali su questi due numeri e quante volte li avevo visti in vita mia, forse per un certo periodo avevo preso anche la 14 che passava per una via vicino a casa mia, non ricordavo bene.
Campo lungo, movimento di macchina indietro…
Sospiro e pressione del pulsante.
Esplosione.
Fine.